di Emanuele Edallo
All’interno della svolta antiebraica, fortemente voluta da Mussolini e dal regime fascista a partire dalla metà del 1936 e concretizzatasi nel 1938, particolarmente significativi furono i provvedimenti riguardanti la scuola, adottati all’inizio di settembre 1938. Convinti che la scuola fosse la misura della vita morale del paese, Mussolini e il ministro dell’Educazione nazionale Giuseppe Bottai idearono e impostarono una politica di esclusione degli ebrei italiani e stranieri dalle scuole del Regno, con lo scopo di giungere ad una arianizzazione totale del mondo scolastico. Sebbene alla fine di agosto 1938 Mussolini accarezzasse ancora l’idea di una persecuzione parziale e non ancora totale degli ebrei in Italia, che venne attuata solo con l’emanazione del RDL 17 novembre 1938 n. 1728 “Provvedimenti per la difesa della razza italiana”, l’imminente inizio dell’anno scolastico 1938-39 obbligò il regime ad affrontare concretamente il problema. Attuare una politica di esclusione di insegnanti e alunni ebrei ad anno scolastico già avviato avrebbe comportato numerose problematiche, così all’inizio di settembre furono varati con urgenza dal Consiglio dei ministri i due decreti legge riguardanti la scuola.
Il primo Regio Decreto Legge (RDL) 5 settembre 1938 n. 1390 “Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista” fu approvato dal Consiglio dei ministri il 2 settembre e sancì l’esclusione di persone di razza ebraica dall’ufficio di insegnante nelle scuole statali o parastatali di qualsiasi ordine e grado, dall’assistentato universitario e dal conseguimento della libera docenza; vietò l’iscrizione alle scuole di qualsiasi ordine e grado agli alunni di “razza ebraica”, pur permettendo agli studenti universitari ebrei, già iscritti nei passati anni accademici, di proseguire gli studi. Dal 16 ottobre 1938, tutti gli insegnanti, i presidi e i direttori delle scuole ebrei furono sospesi dal servizio, così come gli aiuti assistenti universitari, il personale di vigilanza nelle scuole elementari e i liberi docenti. Dal momento che non era stata ancora elaborata una definizione giuridica di ebreo, si decise di considerare tale chiunque fosse nato da genitori entrambi di “razza ebraica”, indipendentemente dalla religione professata.
Il secondo decreto legge (RDL 23 settembre 1938 n. 1630) stabilì l’istituzione, a spese dello Stato, di speciali sezioni di scuola elementare nelle quali avrebbero potuto lavorare insegnanti ebrei, concesse la possibilità di istituire tali scuole anche alle comunità israelitiche, con effetti legali, riservate a fanciulli ebrei, e decretò l’adozione di libri di testo di Stato, con opportuni adattamenti approvati dal Ministero, le cui spese sarebbero state a carico delle comunità stesse.
Il settore educativo fu, dunque, il primo ambito a venire colpito, in modo estremamente duro, dalla legislazione razzista mussoliniana; a farne maggiormente le spese fu, senza dubbio, l’insegnamento universitario, che rilevava una presenza ebraica percentualmente molto più alta rispetto ad altri settori: all’interno dell’intero corpo docente il 7% di professori ordinari e straordinari era di origine ebraica (contro l’1‰ della presenza ebraica all’interno della popolazione italiana complessiva). Con l’emanazione del RDL 15 novembre 1938 n. 1779, che integrò e coordinò in un unico testo tutte le norme già emanate per la difesa della razza italiana nella scuola, escludendo gli ebrei da qualsiasi ufficio o impiego nelle scuole di ogni ordine e grado, pubbliche e private, frequentate da alunni italiani, il personale già sospeso dalle sue funzioni fu dispensato dal servizio e ammesso a far valere i titoli per l’eventuale trattamento di quiescenza; i liberi docenti di razza ebraica furono dichiarati decaduti dall’abilitazione e tutti gli studenti ebrei furono cacciati dalle università, ad eccezione di chi era già iscritto nell’anno accademico 1937-38 e non era fuori corso (ciò non valeva per gli studenti ebrei tedeschi).
Al di là delle fasi generali della persecuzione razzista nella scuola e, in particolare, nell’università, è sicuramente interessante ricostruire gli avvenimenti nei singoli atenei, grazie al materiale documentario conservato. Ciò è stato possibile anche per quanto riguarda la Regia Università di Milano, grazie alle carte conservate nell’Archivio storico dell’Università di Milano, tra le cui serie si trovano i registri dei verbali del Senato accademico, del Consiglio di amministrazione e dei Consigli di facoltà; i fascicoli personali dei docenti e degli studenti; il carteggio articolato sul titolario, gli annuari e un fascicolo specifico riguardante la questione razziale. Se, per quanto riguarda gli studenti, al di là di alcune circolari di carattere generale, è difficile ricostruire le vicende (anche per il fatto che chi era in corso poteva continuare gli studi), differente è la situazione di professori, aiuti, assistenti e liberi docenti. Le carte conservate permettono di ricostruire, tutte le fasi burocratico-amministrative della persecuzione, a partire dalla circolare ministeriale del 9 agosto 1938, nella quale si disponeva la compilazione delle schede di censimento per il personale dell’Università, agli elenchi forniti dalla stessa università in merito a chi fosse risultato di “razza ebraica” (da entrambi i genitori, per parte di padre o di madre oppure che avesse sposato un ebreo), sino all’elenco ministeriale del 14 ottobre 1938, nel quale il Ministero comunicò i nominativi dei professori di ruolo, degli aiuti, degli assistenti, dei liberi docenti e degli avventizi sospesi dal servizio in quanto appartenenti alla “razza ebraica”.
Incrociando i dati estrapolati dall’elenco ministeriale e quelli desunti dai registri delle sedute del Senato accademico e dei singoli consigli di facoltà, è emerso che nel complesso furono allontanati 38 tra docenti, assistenti, aiuti e liberi docenti oltre a 2 avventizi. Tra di essi 10 furono i professori di ruolo: Alberto Ascoli, Guido Ascoli, Paolo D’Ancona, Mario Donati, Mario Falco, Carlo Foà, Mario Attilio Levi, Giorgio Mortara, Felice Supino, Aron Benvenuto Terracini.
Dagli Annuari della R. Università di Milano di quegli anni e dai memoranda, che essi stessi compilarono su richiesta del rettore in previsione della possibilità di venire ricollocati nel settore amministrativo mantenendo il ruolo ma non più la funzione – ammessa con la Dichiarazione sulla razza del Gran Consiglio del Fascismo del 6 ottobre 1938 ma esclusa definitivamente con il RDL 15 novembre 1938 n. 1779 – è possibile ripercorrere la loro carriera accademica, il ruolo che essi ricoprivano nei singoli ambiti di studio, sia a livello internazionale che nazionale; dalla documentazione emergono personaggi di altissimo spessore culturale, alcuni dei quali fortemente legati al fascismo e alle sue gerarchie, colti di sorpresa dalla svolta razzista del regime. Il RDL 17 novembre 1938 n. 1728 e il RDL 15 novembre 1938 n. 1779, come detto, sancirono la loro definitiva espulsione, con decorrenza dal 14 dicembre 1938. La corrispondenza con il rettore permette di far luce anche sull’aspetto umano di questa vicenda, facendo emergere tutte le difficoltà provate da chi viveva l’insegnamento come una vera e propria missione. Impossibilitati ad insegnare e svanita la possibilità di essere ricollocati, alcuni decisero di rimanere in Italia, subendo la legislazione razzista, altri fuggirono oltre oceano, in Sudamerica o negli Stati Uniti; altri ancora decisero, dopo l’8 settembre 1943, di rifugiarsi in Svizzera.
La fine del conflitto e la liberazione dal nazifascismo permisero il ritorno ad una sorta di normalità accademica, nella quale anche i docenti allontanati per motivazioni razziali furono reintegrati a partire già dall’anno accademico 1945-46. Così avvenne ai professori di ruolo espulsi nel 1938 (ad eccezione di Falco, deceduto nel 1943, e Supino, anziano e malato) che a distanza di sette anni, con alterne vicende e tempistiche disomogenee, riuscirono a riprendere la loro attività. I primi a tornare ad insegnare furono quelli rimasti in Italia o rifugiati in Svizzera; più lento e non privo di problemi sarebbe stato invece il ritorno per chi aveva deciso di rifugiarsi oltre oceano, trattenuto lontano dal rispetto dei programmi di lavoro già avviati e da un naturale senso di riconoscenza nei confronti di chi li aveva aiutati in un momento così tragico. Se, apparentemente, il loro reintegro avvenne senza alcun problema, in realtà numerose furono le questioni che si dovettero affrontare. Le disposizioni di legge che si susseguirono a partire da gennaio 1944 (RR.DD.LL. 6 gennaio 1944 n. 9 e 20 gennaio 1944 n. 25) fino a maggio del 1946 (R.D.L. 27 maggio 1946 n. 535), tra revisioni, correzioni e aggiunte, decretarono il principio che non si dovessero sconvolgere gli equilibri consolidati dal 1938 in avanti, avallando, per i reintegrati, lo status di aggregati e non di titolari della materia di insegnamento. Ciò provocò disguidi e polemiche, soprattutto quando ad essere coinvolti furono docenti di chiara fama; la burocrazia accentuò i problemi legati al rientro contribuendo a creare situazioni paradossali. Diverso fu il discorso per gli incaricati, i liberi docenti e gli aiuti e assistenti allontanati nel 1938; solo alcuni ripresero il proprio posto (due di essi, Giuliana Fiorentino e Mario Segre subirono la tragedia della deportazione ad Auschwitz; Segre non sopravvisse).
In questa situazione, la tendenza dell’Università di Milano fu quella, comune a tutte le altre, di normalizzare il prima possibile la situazione, accantonando umiliazioni e persecuzioni, nel tentativo di archiviare velocemente il passato. La volontà di lasciarsi alle spalle esperienze dolorose e difficili, la voglia di normalità e la tendenza delle forze antifasciste a non riconoscere la specificità della persecuzione ebraica imposero rimozione e oblio, tanto che i docenti ebrei esclusi nel 1938 ripresero il loro ruolo al fianco di chi li aveva sostituiti, traendo vantaggio dalla loro espulsione, e di chi si era compromesso accettando la legislazione razzista senza alcuna rimostranza.