Una collana editoriale dedicata all’arte tra le edizioni rare conservate ad Apice
di Viviana Pozzoli
Tra le edizioni rare conservate al Centro Apice, nel fondo Valentino Bompiani si trovano i fascicoli monografici di una singolare collana avviata dall’editore milanese nell’autunno 1946 con il titolo “Apologie dei capolavori dell’arte italiana riprodotti nelle misure originali”. I volumi, formato in quarto, sono consacrati a singole opere pittoriche di notevole valore storico artistico, restituite «al vero» grazie a una sperimentale proposta grafica annunciata nel frontespizio: Il dipinto a colori, dodici particolari a colori e dodici in nero nelle misure originali. Introdotte da un breve testo, articolato in una nota biografica dell’artista, un’analisi del dipinto e una nota tecnica, le tavole di ciascuna monografia presentano i dettagli dell’opera a piena pagina, consentendo così di “sfogliare” il capolavoro, tra istanze di documentazione, retorica del facsimile e utopia dell’arte per tutti.
Quella delle “Apologie” fu un’esperienza sostanzialmente inedita nel panorama editoriale del tempo, che a un’idea di nobile divulgazione innestava la sperimentazione delle più aggiornate tecnologie di riproduzione e di stampa delle immagini e un pionieristico uso del fotocolor su larga scala, accolto come una grande possibilità moderna, una forma di realismo. Se i suoi risultati testimoniano la sensibilità di Bompiani per il valore tipografico della pagina illustrata, essi rivelano, al contempo, il ruolo cruciale che le espressioni dell’editoria d’arte andavano progressivamente assumendo nel quadro allargato dell’industria culturale. A tale carattere paradigmatico, tuttavia, non corrispose una solida fortuna del progetto, interrotto dopo sole quattro uscite, la cui vicenda, a lungo dimenticata dalla storiografia, è ricostruibile attraverso la ricerca e lo studio dei materiali d’archivio.
L’analisi incrociata di fonti eterogenee, tra cui carte autografe e documenti a stampa, mette in luce la complessa progettualità della collezione e la sua lunga genesi, che appare connessa a doppio filo all’episodio di “Civiltà”, la lussuosa rivista pubblicata da Bompiani tra il 1940 e il 1942 per la progettata Esposizione Universale di Roma.
Definita dalla stampa coeva «alla testa» dell’«arte grafica dei nostri tempi», “Civiltà” contribuì all’affermazione di un gusto visivo nuovo, attento ai più aggiornati orientamenti internazionali, distinguendosi in particolare per le prime prove del sistema fotocolor, ovvero della pellicola a colori e per estensione delle sue applicazioni nell’industria della stampa. Il procedimento – messo a punto sulla scia della tecnologia tedesca Agfacolor che, brevettata sullo scorcio del 1936, aveva superato il Kodachrome dell’anno precedente – prometteva di dare un’inedita risposta all’annoso problema della fedeltà di riproduzione delle opere d’arte nella dimensione pienamente pittorica del colore, consentendo inoltre libertà di ingrandimento dei particolari, anche a piena pagina, senza perdere qualità di dettaglio.
La rivista affidava la realizzazione delle sontuose tavole in quadricromia alla Grafitalia di Amilcare Pizzi, poi stampatore delle “Apologie”, e contava tra i suoi collaboratori il giornalista e mercante d’arte Pietro Maria Bardi, sodale di Bompiani, che risulta altresì autore del primo titolo della collezione, dedicato alla Primavera di Sandro Botticelli, nonché ideatore e principale promotore del progetto.
Alla monografia della Primavera, icona per eccellenza dell’arte italiana nel mondo, avrebbero fatto seguito La Deposizione di Raffaello, presentata da Carlo Ludovico Ragghianti (1947); L’Amor sacro e l’Amor profano di Tiziano, da Giulio Carlo Argan (1949); Pietà e Madonne di Giovanni Bellini, da Fernanda Wittgens (1949). Si tratta di nomi cruciali per le vicende della storia dell’arte in Italia e di scelte non meno cariche di rilevanza, specialmente a quelle date; basti pensare a Ragghianti, che l’anno successivo, nel 1948, alla Deposizione avrebbe consacrato il suo primo critofilm, inaugurando un nuovo linguaggio.
Nelle pagine della collana si ritrovano soluzioni grafiche già sperimentate in “Civiltà”, espressioni di un invito a leggere l’arte del passato secondo una sensibilità attuale, con un’ulteriore spinta in direzione dell’emergente cultura scientifica del restauro, dove alla riproduzione dei dettagli che permette una puntuale percezione delle caratteristiche tecniche e materiche dei dipinti e delle condizioni conservative della pellicola pittorica si accompagna un’apposita nota diagnostica.
Del tutto estranee a esperienze editoriali dense di cultura figurativa letteraria, le “Apologie” si presentano essenzialmente come raccolte di fotoriproduzioni di qualità: quadricromie stampate in offset e tavole in nero a rotocalco impaginate al vivo, in scala 1:1, con didascalie a fronte. Ad acquisire uno speciale peso è lo stesso montaggio dei particolari pittorici, in una sorta di percorso sintattico nell’opera – «una lettura in profondità», per citare lo specimen della collana – secondo cadenze che rivelano puntuali suggestioni del linguaggio della macchina da presa.
Bompiani investì molto nell’iniziativa immaginandola da subito a vocazione internazionale, come sembra suggerire la stessa data di lancio. I documenti registrano un’intensa attività progettuale, mettendo in luce come l’editore, nel rinnovato clima del Dopoguerra, intendesse affidare alle edizioni d’arte – oltre che al Dizionario, opera di punta del catalogo – il piano di espansione commerciale all’estero della casa editrice. Pianificò infatti tirature elevate e traduzioni in tutte le lingue, contando altresì di realizzare partnership con editori stranieri, di cui sono testimonianza le monografie in francese, olandese e portoghese della Primavera, oggi conservate ad Apice.
L’ambizioso progetto delle “Apologie” si arenò tra difficoltà e spese ingenti mai ammortizzate, mettendo presto fine alle pubblicazioni. Un insuccesso che, accanto alla natura sperimentale delle edizioni, rivela l’acerba congiuntura in cui la collana prese corpo, segnata dalla sostanziale mancanza di un mercato, di un pubblico. Se per una doverosa accettazione del colore nella «composizione grafica dei libri d’arte» occorrerà attendere, in Italia, il celebre editoriale di Roberto Longhi Pittura-Colore-Storia e una domanda, apparso su “Paragone” nel 1952, la fortuna di un’editoria d’arte a colori a grandi tirature appartiene, più compiutamente, a una stagione successiva.