di Virna Brigatti
All’interno del Fondo Elio Vittorini sono conservati gli autografi del romanzo Uomini e no, pubblicato nel giugno del 1945 presso l’editore Bompiani di Milano. Proprio Valentino Bompiani ricorda l’importanza di quest’opera, che è stata «il primo commento di uno scrittore» – così l’editore nel suo volume di ricordi Via privata – alla guerra e alla Resistenza appena conclusa e ancora oggi questo testo è spesso proposto in lettura quando si tratta di tornare a riflettere e considerare quel delicato momento della storia politica e culturale italiana.
Dedica sulla foto: “A Valentino con perplessità ma non d’affetto Elio”
(Fondo Valentino Bompiani)
Nel tempo però, come sempre e inevitabilmente accade, intorno a un’opera letteraria si sedimentano strati successivi di letture e commenti che lentamente, ma in modo sempre più solido e duraturo, vanno a costituire una sua condivisa e comune interpretazione. Le carte conservate in un archivio possono servire a compiere uno scavo che – esattamente come per la geologia – consenta di separare i sedimenti, riconoscerne la datazione e la storicità e arrivare infine al livello più antico, auspicabilmente riconducibile alla diretta volontà dell’autore.
Nel caso di Uomini e no di Elio Vittorini ciò è possibile proprio grazie al fatto che il suo archivio personale conserva le carte autografe del romanzo, cosa per altro rara e dunque straordinariamente preziosa. Non si tratta però del “manoscritto”, inteso come una compatta e continua sequenza di carte che trasmette la stesura del testo poi andato in stampa e conosciuto dai lettori: si tratta invece di una serie discontinua di materiali scritti a mano e in piccola parte anche dattiloscritti che testimonia due fasi di lavorazione del romanzo, cioè una prima ipotesi narrativa riscritta poi in larga parte.
E in quale modo questo insieme di materiali archivistici permette di ricostruire l’interpretazione del testo più verosimilmente vicina a ciò che l’autore voleva? Le carte raccontano – tra molte altre cose – in quale modo Vittorini ha rielaborato e ripensato il personaggio femminile protagonista del romanzo, Berta, la donna amata dal protagonista maschile, il partigiano intellettuale Enne 2, e però sposata con un altro uomo. Comprendere in quale modo la fisionomia di questa figura sia stata trasformata è determinante poiché il valore complessivo che si ascrive all’intero romanzo dipende strettamente dalla lettura che si sostiene in rapporto a questa tormentata storia d’amore. Uomini e no, infatti, è spesso troppo semplicisticamente ricondotto (anche nelle più recenti edizioni tascabili) a una infelice vicenda sentimentale che si svolge durante il periodo della seconda guerra mondiale e della lotta interna tra partigiani e fascisti: il contesto storico diventa in questo modo sostanzialmente uno sfondo, importante certo in termini documentari (soprattutto se il romanzo viene collocato tra i rappresentanti della narrativa neorealista), ma di fatto depotenziato.
Gli autografi di Vittorini dimostrano invece che il nesso tra storia d’amore, questione privata, e questione storico-politica sono elementi strutturali di uno stesso discorso che lega indissolubilmente le scelte apparentemente minime della vita personale di ognuno, con le dinamiche più complesse e a volte anche drammatiche della Storia. Tutto è politico, insomma, per Vittorini, anche i sentimenti, soprattutto i sentimenti, proprio perché questi sostengono la relazione tra l’individuo e il mondo, tra il sé e gli altri.
Nel ripensare il personaggio di Berta, infatti, Vittorini in un primo tempo aveva ipotizzato che questa giovane donna sarebbe stata capace di amare Enne 2 e, attraverso questo amore, comprendere il valore di una lotta che non era solo per la libertà immediata dall’occupazione di truppe nemiche e dal governo dittatoriale, ma anche e soprattutto di comprendere che una più profonda liberazione doveva continuare a essere costruita giorno dopo giorno, anche dopo che quell’obiettivo fosse stato raggiunto: una libertà fondata su una forte coscienza morale e civile, sempre pronta a lottare contro quella «continua pratica di fascismo» che si insinua in ogni epoca e in ogni contesto «nei più delicati rapporti tra gli uomini» (Uomini e no, 1945, p. 167).
La Berta andata in stampa, invece, quella che è stata conosciuta dai lettori, non avrà più questa forza e la sua mancata parabola di formazione morale, politica e civile, agisce nel testo come un avvertimento per il lettore: ognuno di noi è potenzialmente Berta, impaurito, irresoluto, perso nella propria ignavia. E questo atteggiamento apparentemente slegato dalla Storia ha in realtà gravi conseguenze e contribuisce ben più direttamente di quanto si creda a negare la dignità umana di coloro che in vari modi sono oppressi.
Vittorini di questo parlava nel 1945 e studiare Uomini e no attraverso le carte autografe, tornare cioè al passato attraverso i documenti che si sono conservati, consente di rileggere uno dei libri più importanti della storia della letteratura del nostro Novecento con la coscienza che la distanza storica che da esso ci separa in realtà consente di conquistare maggiori consapevolezze nei confronti del nostro presente.