di Marie Louise Crippa
Gina Lagorio è stata una delle rappresentanti più significative del processo di emancipazione femminile avvenuto nel Novecento: impegnata fin dalla sua gioventù sul fronte e politico e culturale. Il suo nome è stato associato alla Resistenza Italiana ed al movimento politico della Sinistra Indipendente, ad istituzioni artistiche e letterarie, prima fra tutte la casa editrice Garzanti, per la quale ha pubblicato molti testi in veste di editor, saggista e scrittrice. Insieme alle conquiste, Gina Lagorio ha rappresentato le complicazioni e le contraddizioni proprie della condizione femminile moderna. Le sue opere narrative denunciano, sotto vesti più o meno allegoriche, una tensione costante fra dimensione pubblica e privata, ragioni letterarie e spirito divulgativo, aspirazioni artistiche e doveri familiari. I suoi interventi sui giornali ed in televisione hanno riserbato grande spazio alle tematiche sociali e culturali della donna, basti ricordare le rubriche Singolare femminile e Parlare al femminile, trasmesse sui canali della Radiotelevisione Italiana. I diritti delle donne e della famiglia sono stati obiettivi primari delle sue battaglie politiche, come attestano i testi dattiloscritti destinati alle dichiarazioni tenute in veste di Deputata ed ai bollettini del PCI. I suoi scambi epistolari, amicali ed anche professionali, portano inscritta la testimonianza diretta di donna che non ha voluto rinunciare al suo ruolo di intellettuale, moglie e madre.
Il Centro Apice conserva tutto l’archivio della scrittrice: appunti, articoli per giornali, bozze e prime stesure di opere saggistiche e narrative, e un ricco epistolario. Mentre i suoi romanzi ed i suoi articoli ci restituiscono la ricchezza delle sue attività culturali e dei suoi impegni pubblici, i documenti d’archivio restituiscono la particolare condizione di madre e moglie.
È significativa la lettera con la quale Gina Lagorio risponde ai complimenti di Carlo Betocchi per la pubblicazione del romanzo Fuori scena:
Forse, senza quella madre che aveva fatto le elementari soltanto, ma leggeva le lettere di Leopardi, la bambina ch’ero io non sarebbe cresciuta con l’amore dei libri e forse nel momento difficile del matrimonio e della maternità, quando anche l’amore della letteratura può apparire ingiusto o non necessario, come un amore clandestino, senza l’amicizia protettiva e sorridente, stimolante ma discreta, attenta a quel che ero, nella mia domesticità ben difesa ma anche a quello che non dovevo sciupare o costringere fino a sacrificarlo, dei miei due vecchi amici, oggi io, non sarei qui a scrivere a lei, pensando anche a loro, e a tutto, a tutta la mia vita, che in qualche maniera ho riversato nel mio ultimo libro.
La lettera risale al 24 novembre 1979. Gina Lagorio è già nota per il suo impegno letterario e civile. Quello che stupisce è il candore con il quale ammette le sue umili origini e la difficoltà, tutta propria della condizione femminile, di pacificare i doveri familiari con l’amore per la scrittura che viene definito addirittura clandestino, una colpa. Il termine amore è usato per richiamare la passione di Gina verso la letteratura, ma – d’altro canto – sembra relegare la scrittura ad una pratica ricreativa e non professionale. Interessante notare che il supporto decisivo al completamento della sua opera giunse proprio da due uomini: gli amici a cui Gina fa riferimento qui ed in più occasioni sono Camillo Sbarbaro e Angelo Barile («il consigliere amico ma rigoroso, in quella sua maniera civilissima tesa all’essenziale e mai alla vanità»).
La particolare difficoltà di coniugare il ruolo di donna di famiglia con quello di donna nelle arti è costante negli scambi epistolari, soprattutto con altre protagoniste femminili dell’universo intellettuale, come Giovanna Bemporad, Marisa Fenoglio, Cesira Fiori, Natalia Ginzburg, Anna Maria Ortese. Queste lettere si rivelano fonti preziose non solo per ricostruire il percorso esistenziale e professionale di Gina Lagorio ma anche per approfondire tematiche sociali e culturali proprie del mondo femminile, attraverso la prospettiva privilegiata di donne non comuni. Convivono qui: riflessioni sull’attualità, considerazioni letterarie, pianificazioni editoriali, ma anche aneddoti personali, gioie e fatiche della vita familiare, toni intimistici e temi “minori” tradizionalmente esclusi dalla dimensione intellettuale. Fra le lettere sopravvissute, si rivelano molto interessanti quelle intercorse con la scrittrice e amica Alba de Céspedes. I documenti coprono un arco di trent’anni, attestano una lunga amicizia, resistita ai tanti viaggi e trasferimenti di Alba fra Parigi e Cuba. Con cadenza a volte persino mensile, Gina ed Alba si scambiavano aggiornamenti sui loro progetti di vita e di lavoro, considerazioni sulle evoluzioni sociali e politiche, consigli riguardo le case editrici e le tendenze editoriali.
Ecco una lettera scritta da Alba a Gina il 7 marzo 1970:
Vorrei parlarti anche del tuo libro, così fresco, così sincero, che mi ha dato l’impressione di entrare in casa tua, di conoscere la tua famiglia. (immagino le prime noti della Titti, e il concerto, e la tua disperazione, quel sonno arretrato, quella stanchezza che ci portiamo appresso da un giorno all’altro…) e il tuo libro, ancora una volta, ripropone il dramma di quel dualismo che è il nostro peggior nemico: la necessità di avere nella mente vari sportellini che si aprono, scattano al momento dato, rovesciando il cruccio, l’obbligo, l’urgenza, che ci sottrae al lavoro, o a un’altra cosa, sempre vigili, sempre lucide e responsabili.
La poetessa fa riferimento al romanzo della Lagorio Un ciclone chiamato Titti pubblicato pochi mesi prima e nel quale la scrittrice ha trasferito l’esperienza della gravidanza e della maternità. È significativo che la de Céspedes, anch’essa madre, non sottolinei i piaceri ma gli oneri e le conseguenze dell’avvento di un figlio nella vita di una donna che lavora, e che per di più svolge un lavoro intellettuale. La maternità è paragonata ad uno di quegli “sportellini” che la donna moderna sa abilmente aprire e chiudere, sfidando scissioni e alienazioni.
Queste condizioni sono state alla base della particolare solidarietà che si instaurò fra le due scrittrici: «Grazie delle tue affettuose parole, sai con quanta spontaneità ci siamo sentite “trovate e moderne” e come sinceramente io ricambi il tuo affetto». In più lettere Alba si dimostrò riconoscente verso le attenzioni riserbate alle sue opere da parte di Gina, in veste di amica, di critica, e soprattutto di donna, denunciando la diffusione di comportamenti maschilisti. La lettera del 26 giugno 1976 è esemplare:
Mia carissima Gina,
a sostenere le ragioni del femminismo e le ingiustizie, i pregiudizi che ancora oggi subiscono le donne basterebbe la qualità del tuo scritto sulla mia “Notte”. A parte la gioia, la commozione che mi ha procurato, la soddisfazione di essere compresa in ogni intenzione, non potevo, leggendolo, impedirmi di pensare che ben pochi uomini, critici celebrati, saprebbero scrivere un articolo acuto, logico, com’è il tuo; e pochi, amando l’opera di cui parlano, saprebbero così bene mitigare il loro entusiasmo e trasmetterlo ai lettori. Ma quale quotidiano, quale rivista, ha per titolare della critica letteraria una donna? E grazie anche per aver rimesso a posto chi ha tacciato di femminile ciò che scrivo. (Femminile, sì, ma nel senso che intendiamo noi).
Nelle parole della scrittrice c’era una critica diretta verso l’opinione comune che associava la letteratura femminile a prodotti intimistici e psicologistici, estranei alla Storia. Non a caso infatti Alba ringrazia Gina per aver saputo leggere la sua opera con la giusta distanza critica, smentendo coloro che avrebbero potuto mettere in discussione l’imparzialità del suo giudizio.
Le due scrittrici condivisero gli stessi ideali letterari e civili, convinte che la scrittura dovesse alimentarsi della quotidianità piccola e grande: dalle avventure e difficoltà della sfera personale alle grandi trasformazioni della sfera collettiva. Non è trascurabile a questo proposito che, fra i tanti componimenti dell’amica, la Lagorio avesse scelto per la sua rubrica televisiva quelli scritti in occasione dei moti parigini del 1968. Nelle lettere intercorse in quel periodo, Alba aggiornava Gina riguardo le evoluzioni sociali e politiche che animavano Parigi e che le avevano ispirato delle chansons. Il 27 maggio scrisse a Gina:
Non so quando partiranno queste righe: qui stiamo vivendo giorni appassionanti e duri. La Rue de Tournon è al centro delle rivolte: nelle ultime notti non si udivano che granate lacrimogene scoppiare e grida. Nessuno si avvicina a questo quartiere, è come un lebbrosario, ma è davvero il cuore di Parigi. Ti piacerebbe essere qui.
Ad agosto dello stesso anno aggiunse: «sapevo che avresti preso parte spiritualmente a ciò che accadeva a Parigi. Io, senza quasi volerlo, ho scritto delle poesie in francese, quasi un diario, in quel periodo straordinario».
Gli scambi epistolari con Alba de Céspedes ci restituiscono il ritratto di una Gina Lagorio estremamente moderna: non solo inserita nel mondo letterario, ma anche parte attiva nella formazione e diffusione di nuovi modelli culturali, più sensibili all’identità artistica femminile ed alle più evolute realtà europee.
Fra i suoi contatti, sono presenti non solo scrittrici ma anche politiche come Cesira Fiori, che si rivolgeva a Gina sempre con l’appellativo di “Gentilissima compagna”, in ricordo della loro comune esperienza della Resistenza. Fra le lettere pervenute, ci sono anche quelle di lettrici ed ammiratrici che trovarono nella Lagorio una rappresentante e interlocutrice. L’atto stesso di conservare queste lettere dimostrano la particolare sensibilità della scrittrice verso il pubblico e la sua grande fiducia nell’attività comunicativa.
Gina trovò proprio nelle potenzialità comunicative della letteratura, nella missione civile della scrittura, la soluzione a quel disagio interiore sempre presente nelle lettere fin qui rievocate. Scrisse nel suo romanzo autobiografico del 1971, Inventario:
Volevo verificare se c’era qualche necessità nel mio bisogno di dire, e soprattutto se il mio essere e sentirmi in bilico fra due mondi, quello caldo solido confortevole della mia casa e quello seducente fragile ambiguo dei libri, potesse trovare una composizione pacifica che mi salvasse dalla dissociazione. Ero giovane e pativo della mia mutabilità ai richiami delle ore, mi pareva di abitare veramente solo l’attimo, senza riconoscermi davvero in nessun luogo e in nessun presente.
Queste parole svelano che il conflitto di Gina non fu solo tra dimensione familiare e dimensione professionale, ma anche tra ragioni personali e collettive. Per lei, la scrittura doveva rispondere a canoni morali oltre che estetici: affinché la sua istanza comunicativa fosse legittimata doveva essere socialmente utile, necessaria. Non stupisce quindi che Gina trovò la soluzione al suo tormento proprio nell’impegno politico: dal 1987 al 1992 è stata Deputata per la Sinistra Indipendente. Dopo aver parlato alle donne attraverso i più diffusi mezzi mediatici, le rappresentò in Parlamento.
Nel Centro Apice sono conservati i dattiloscritti delle dichiarazioni ufficiali pubblicate in seguito su giornali e bollettini politici. I documenti testimoniano la partecipazione della Lagorio a dibattiti cruciali per la storia culturale e sociale del nostro Paese: dall’insegnamento di religione nella scuola pubblica, alla legge sull’aborto. Anche in campo politico, Gina seppe dare prova di profonda coscienza critica, non confondendo i propri valori personali con l’interesse comune. Da donna cattolica ma intellettuale laica, si schierò in difesa della facoltatività dell’ora di religione, si dichiarò favorevole all’aborto e si fece promotrice di una migliore educazione sessuale nelle scuole.
La forza intellettuale della Lagorio risiedette nella natura del suo impegno civile prima ancora che politico, estraneo alle leggi dei partiti ed alle lotte ideologiche. L’autonomia spirituale fu il perno costante intorno al quale gravitò ogni sua attività, politica, giornalistica e letteraria: non a caso le protagoniste dei suoi romanzi furono esempi limpidi e spregiudicati di donne moderne e indipendenti che hanno sfidato il provincialismo ed il pregiudizio.