di Ivan Costanza
Ardito Desio nacque il 18 aprile 1897 a Palmanova del Friuli. Cresciuto in un clima patriottico e nazionalista, partì volontario per la Prima guerra mondiale appena possibile, e fu fatto prigioniero nel 1917 in seguito alla disfatta di Caporetto; un lascito prezioso dell’esperienza militare fu l’amicizia con Amedeo d’Aosta e con Italo Balbo.
Nel 1920 si laureò con il Professor Carlo De Stefani, che lo scelse come assistente presso l’Ateneo fiorentino. Nel 1925 ottenne un nuovo incarico alla Sezione geologica del Museo civico di storia naturale di Milano, che ospitava anche gli Istituti universitari di geologia e mineralogia. I suoi primissimi studi riguardarono le isole del Dodecanneso italiano, ma ben presto rivolse la sua attenzione ai territori dell’Impero coloniale italiano, in particolare sulla Libia. Il suo primo viaggio in questo paese fu nel 1926; negli anni seguenti iniziò a redigere una carta geologica della regione, scoprendo l’esistenza di riserve sotterranee di acqua fossile che saranno poi sfruttate da Gheddafi per costruire il “Grande Fiume Artificiale”, il più grande acquedotto del mondo.
Mentre indagava sui giacimenti di potassio nell’oasi di Marada trovò tracce della presenza di petrolio. Seguendo queste indicazioni, cominciò a collaborare con AGIP, che nel 1938 estrasse da pozzi esplorativi i primi barili di petrolio. Lo scoppio della seconda guerra mondiale interruppe tuttavia il procedere dei lavori.
Nel frattempo era anche divenuto nel 1932 professore di geologia all’Università di Milano, cattedra che terrà fino al 1967, insieme a quella di geologia applicata al Politecnico di Milano, divenendo uno dei più famosi docenti italiani nella materia.
Dopo che l’Italia ebbe perduto le sue colonie, Desio continuò i suoi viaggi scientifico-esplorativi in nuovi territori, in particolare nell’Himalaya indo-pakistano; per questo motivo fu scelto come organizzatore della spedizione italiana al K2, impresa, per quanto riuscita, non priva di code polemiche.
Nel 1990 fece costruire sull’Everest una piramide dotata di un gran numero di attrezzature scientifiche.
A tutti gli impegni accademici e scientifici Desio accompagnò sempre la collaborazione con società private, come Edison, e consulenze per vari stati stranieri come la Birmania e la Grecia, attività che continuò sino alla morte, avvenuta il 12 dicembre 2001.
Alla sua morte Desio lasciò un vasto lascito di documenti e cimeli. Questi materiali furono suddivisi tra vari enti come l’Associazione Ardito Desio, il Fogolar Furlan e la Biblioteca di scienze della terra dell’Università degli studi di Milano.
A quest’ultima toccò in lascito una vasta parte della sua collezione di libri e periodici, che costituisce un Fondo distinto tra le raccolte bibliografiche della struttura, oltre a un insieme di materiali tecnici, studi scientifici e d’interesse privato, riuniti in un apposito fondo archivistico. Molte carte comprendono documentazione relativa a progetti condotti da Desio singolarmente o in collaborazione con altri geologi. Si trovano inoltre numerose pubblicazioni del Club Alpino Italiano (CAI), volumi geo-turistici anche illustrati, guide turistiche e stradali e piante di città, manuali di conversazione in diverse lingue, nonché la raccolta delle annate 1920-1947 del periodico friulano “Il Strolic Furlan”.
Una busta raccoglie vari documenti sulla diga del Vajont, risalenti a prima e dopo la famosa catastrofe, forse raccolti in vista di un saggio lasciato incompiuto. Tra le carte delle numerose consulenze a ditte e stati stranieri spiccano quelle riguardanti la Grecia. Si tratta quindi di un fondo estremamente eterogeneo, che, a differenza della collezione bibliografica, non fu oggetto di ordinamento e catalogazione da parte dello studioso, ma è stato composto successivamente dai bibliotecari raccogliendo il materiale sparso non inquadrabile nel lascito bibliotecario.
Un’importante e ricca raccolta documentale relativa alla vita e le attività di Ardito Desio si trova nell’Archivio a lui intitolato, curato dall’Associazione Ardito Desio e ospitato presso la Biblioteca della Sezione di Roma del CAI.